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Morti improvvise, i test genetici possono aiutare a prevenire infarti e aritmie

  • edonato0
  • 2 ott 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 15 ott 2019

Da corriere.it 7/10/19

Storie che a volte si leggono sui giornali. Storie di adolescenti che cadono a terra, mentre giocano a calcio o si allenano in palestra: spesso vittime di un qualche tipo di aritmia e nemmeno defibrillatori o massaggi cardiaci possono salvarli. Morti improvvise cardiovascolari, che pongono una serie di questioni alla medicina, non ultima questa: ma come è possibile che ai giorni nostri la genetica, la star della ricerca medica negli ultimi anni, non abbia suggerito metodi in grado di intercettare per tempo situazioni del genere e di prevenire queste tragedie? Alcune risposte a questa domanda le ha date un recente articolo pubblicato sulla rivista americana Jama Cardiology e che noi rileggiamo, tenendo d’occhio la realtà italiana, con Gualtiero Colombo, responsabile di Immunologia e genomica funzionale al Centro Cardiologico Monzino di Milano. «Cominciamo con un distinguo — esordisce Colombo —. Ci sono due tipi di malattie cardiovascolari che si possono intercettare con test genetici già disponibili: quelle cosiddette monogeniche che riconoscono, cioè, il difetto di un solo gene o al massimo due. E quelle che, invece, sono legate a mutazioni di più geni: in questo caso i test sono molto più complessi e soltanto pochi laboratori li eseguono». Più nel dettaglio. Per il primo gruppo di malattie, fra cui per esempio le ipercolesterolemie familiari (caratterizzate da livelli elevatissimi di colesterolo nel sangue, un noto fattore di rischio cardiovascolare) e la trombofilia (cioè l’eccessiva tendenza del sangue a coagulare, un altro fattore di rischio) ci sono test validati e rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale italiano in grado di rivelarne la presenza. Poi c’è il secondo gruppo di patologie, legate non a una, ma a più mutazioni genetiche. Sono generalmente rare, ma nella loro rarità le più frequenti risultano le cardiomiopatie ipertrofiche o dilatative (il muscolo cardiaco è alterato e non è più in grado di pompare adeguatamente il sangue e, quindi, si scompensa) e le aritmie: fra queste ultime possiamo ricordare la sindrome del QT lungo o sindrome di Brugada e la fibrillazione atriale che si manifesta in pazienti con meno di 45 anni (alcune altre sono mostrate nell’infografica). «I test in questi casi sono molto più complessi — continua Colombo — e sfruttano, per evidenziare i geni responsabili, una tecnica chiamata next generation sequencing analysis». Tradotta in soldoni la tecnica consiste in questo: in base alle conoscenze delle alterazioni genetiche responsabili di queste malattie, si costruiscono i cosiddetti pannelli, cioè un insieme di geni con alterazioni tipiche, per esempio, di una cardiomiopatia, poi si mettono a confronto questi pannelli con il Dna del paziente che si sospetta avere una cardiomiopatia e si vede se ci sono corrispondenze. I candidati ai test sarebbero persone con disturbi che fanno sospettare qualche alterazione genetica. Ma c’è di più. Nel momento in cui si identifica un portatore di geni alterati (e che purtroppo potrebbe anche essere già deceduto proprio a causa della malattia), occorre occuparsi anche dei familiari, dal momento che può esistere un’ereditarietà: l’indicazione dei medici è quella di sottoporre anche loro al test ed eventualmente prendere provvedimenti terapeutici nel caso di positività.


 
 
 

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